Monday, August 08, 2005

Sulle Fratture del Mondo

"Sulle fratture del mondo, [...] noi siamo lì, al di sopra di queste fratture".

Da qualche giorno rieccheggiano in me le parole di questo vescovo, mons. Pierre Luciene Claverie, assassinato in Algeria.

Quando le ascoltai per la prima volta, non le compresi fino in fondo. Forse non le capisco neppure adesso.
Però mi affascinano... Sono una metafora densissima di significati.

Innanzitutto le "fratture". Se ci penso, le terre emerse, i continenti "galleggiano" come su grandi zatteroni che scivolano, sfregano, si allontanano ed avvicinano in corrispondenza di enormi "fratture". Di cui ci ricordiamo solo quando fanno catastroficamente notare la loro presenza. Per tutto il resto del tempo le possiamo tranquillamente ignorare. Perlomeno, io me ne dimentico del tutto. E questa, parlando fuor di metafora, è una leggerezza imperdonabile.

Esistono, poi, tanti tipi di fratture. Quelle che coinvolgono intere fasce di popolazione o intere nazioni e quelle che sono proprie dei singoli individui.
Tutte ugualmente difficili da vedere se non quando è (o potrebbe essere) troppo tardi.

Ed, infine, questo verbo: "porsi sopra". Che non significa sovrastare. Non vuol dire guardare dall'alto, essere distaccato, ma neppure lasciarsi prendere e trascinare dalla corrente.
Per usare un'altra metafora, che mi è più congeniale, "porsi sopra" mi ricorda quello che fa una medicazione. Essa deve stare dove vi è una ferita, lì, a contatto. Solo così può giovare. Ma rimane sempre e comunque ben distinta dalla ferita stessa.

Questo suo essere "altro", ma non "altrove" è l'unico modo per sanare la ferita.

Quante fratture vedo oggi, lontane e palesi o, soprattutto, vicine e meno eclatanti? Quante restano nascoste o voglio che tali rimangano? Come riuscire a "porsi sopra"?

Per ciò che sarò, ma già per ciò che sono ora, queste parole sono una grandissima chiamata.

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