Questo post è conseguenza del precedente, che porta lo stesso titolo, e del relativo commento di Giacomo.
Non ho intenzione di "chiosare" punto per punto quello che lui ha scritto, perchè finirei per essere faziosa: ognuno tende a leggere ciò che fa comodo, ad usarlo per i propri scopi e si finisce per diventare davvero meschini.
Però il suo commento mi è servito come spunto, per dare una forma decorosa a molte idee, che ho celato dietro un post scritto con leggerezza e superficilità volute, forse eccessive, e che ora devono essere espresse chiaramente. Spero di riuscire a farlo qui, in questo blog, d'ora in avanti.
Partiamo da una considerazione.
Per quanto non ci piaccia, ci faccia sentire insicuri, ci irriti, per quanto tentiamo di affermare il contrario, non viviamo in un mondo perfetto. Forse, per fortuna, perchè nessun uomo è perfetto. Almeno nella vita reale.
Al massimo possiamo elaborare idee e sistemi che, nella nostra mente, nella mente di molti, possono apprire tali. Ma appena tentiamo di concretizzarli cominciano a stridere. E se non stiamo attenti, se perseveriamo, tappandoci le orecchie, le nostre idee perfette diventano delle perfette sciagure.
E' la storia di ogni totalitarismo, di ogni dittatura e forma di intolleranza.
Ma c'è, secondo me, un errore ancora più grave, che commettiamo, di solito, quando ci accorgiamo di quanto ho appena detto.
La definirei "personificazione dell'idea".
Spesso tendiamo ad agire, perchè fa comodo, come se i massimi sistemi avessero una vita propria.
E, allora, addosso al "comunismo", al "nazismo", all' "ismo" in generale...
Perchè è facile avere un capro espiatorio. si può almeno pensare che, se si riuscisse ad eliminare quello, le cose andrebbero meglio. Salvo che, di solito, alla caduta di ogni massimo sistema, le cose vanno peggio: bisogna pensare, lavorare, soffrire di più per ricostruire che per demolire.
E' ormai chiaro. il "capitalismo" non è il sistema economico perfetto che voleva essere. Possiamo discutere all'infinito, scrivere pagine su pagine, arrabbiarci e deprimerci e...restare immobili nell'attesa che le cose cambino.
Oppure possiamo muoverci ed agire. per quanto siamo costretti a farlo in una realtà che non va come vorremmo, che non ci piace, che ci disgusta un po'. In una condizione che ci sembra mediocre, che ci spinge a stare fermi, piuttosto che muoverci e sporcarci le mani.
E' vero, sarebbe bello che le cose cambiassero dall'altro, dove gli errori sono più dolorosi ed evidenti, le incongruenze più insopportabili.
Ma, putroppo, io non ho la possibilità di agire a certi livelli, non ho voce in capitolo, anche se desidererei. Ma non posso stare ferma a guardare.
E, allora, tutto sommato, preferisco vivere in una società in cui posso vedere le contraddizioni in un sistema e tentare di sanarle nella quotidianità, per quanto parzialmente...
Preferisco vivere in una società in cui poter scegliere, anche, semplicemente, banalmente, tra chi mi offre lo stesso servizio a prezzi diversi.
Preferisco vivere in un sistema in cui se ti sbatti di più ottieni di più, se la tua idea è migliore di un'altra ha la possibilità di venire riconosciuta ed apprezzata. In una società in cui sono le idee a fare i soldi e non viceversa.
E non parlo in astratto. E' quello che vedo ogni giorno, per fortuna, nell'Università dove studio, nel laboratorio dove trascorro qualche settimana, nell'Ospedale dove spero di lavorare.
Il più grosso errore che posso commettere è piegarmi all'idea comune (che è, tra l'altro, ciò che sta facendo morire il capitalismo) che il denaro sia un fine e non un mezzo.
Il profitto, il cardine del capitalismo, non è una cosa negativa in assoluto. E' onesto ammetterlo.
Che il profitto divenga un fine a sè stante, non un punto di partenza, questo è male.
Ma che il denaro ritorni ad essere un mezzo e non un fine, dipende, nella concretrezza del mio quotidiano, solo ed esclusivamente da me.